Kosovo, il capo delle forze Nato: «Da due anni solo passi indietro, basta con le azioni unilaterali»

di Marco Imarisio

Il generale Ristuccia: «Il premier Kurti ha sbagliato a far insediare i sindaci di etnia albanese non riconosciuti dalla maggioranza serba»

Kosovo, il capo delle forze Nato: «Da due anni solo passi indietro, basta con le azioni unilaterali»

DAL NOSTRO INVIATO
PRISTINA — «La missione Nato non può e non deve essere considerata l’ombrello sotto al quale ripararsi dopo azioni unilaterali che sconvolgono equilibri molto precari».

Al generale di divisione Angelo Michele Ristuccia, capo del contingente Kfor, non è ancora passata. Poteva essere una strage, senza l’intervento dei suoi soldati, che si sono messi in mezzo tra la rabbia dei serbi e la Polizia militare del Kosovo. E seppure nel modo felpato che si addice a un militare di rango, l’uomo che dirige il più grande dispiegamento di forze dell’Alleanza atlantica nel mondo non le manda a dire.

Comandante, a cosa si riferisce?
«In primo luogo, alla decisione del premier kosovaro Albin Kurti di fare insediare i sindaci di etnia albanese non riconosciuti dalla maggioranza serba, senza tenere conto dei consigli contrari dell’intera comunità internazionale. La seconda azione unilaterale da parte del governo di Pristina è stata quella di usare la forza senza consultarci, rendendo così necessario il nostro intervento per evitare una tragedia».

Non era una scelta legittima da parte del governo di un Paese che agisce sul proprio territorio?
«Per favore, non fingiamo che questa sia una situazione normale. Sono decisioni prese senza un preventivo coordinamento con noi e con le parti in causa. Non è la prima volta che accade. Questo è un approccio che non favorisce certo la fiducia reciproca. Bisognerebbe sempre valutare le conseguenze nocive che hanno questo tipo di azioni. Quando ha parlato con me, il premier Kurti si è sempre mostrato d’accordo con questo approccio».

Perché questa volta non l’ha seguito?
«Lo chieda a lui».

Lo abbiamo fatto. Risponde che il Kosovo è uno Stato sovrano e non può piegarsi al ricatto dei violenti.
«In quanto militari, noi ci occupiamo di sicurezza, stabilità e libertà di movimento da parte delle due etnie. Io non giudico le decisioni politiche, ma ho il dovere di preoccuparmi per le loro conseguenze, che in questo contesto così delicato possono facilmente portare all’escalation, come si è appena visto».

Cosa sarebbe il Kosovo del Nord senza la missione Nato?
«Un altro focolaio di guerra. La situazione che stiamo affrontando è il risultato di una serie di crisi che si sono accumulate nel tempo. Chiamiamola pure una instabilità controllata, che però sta diventando sempre più volatile sul terreno, a causa della fragilità delle relazioni tra le due etnie e chi le rappresenta. Ogni equilibrio conseguito con grande fatica, crisi dopo crisi, si sta facendo sempre più precario».

Le responsabilità sono solo da una parte?
«Assolutamente no. Entrambe le parti sono incapaci di capitalizzare gli obiettivi conseguiti negli anni, con grande fatica della diplomazia internazionale. Nel momento in cui c’è un accordo, bisogna implementarlo. Ma senza alcun dialogo, rimane lettera morta. Alla base di tutto c’è solo la sfiducia reciproca. Pacta sunt servanda. Basterebbe questo. Ma non ce la fanno».

Colpa dei reciproci nazionalismi?
«Questo ambiente è saturo di retorica assolutamente improduttiva e pericolosa, del tutto disfunzionale agli obiettivi di pace che la comunità internazionale vuole raggiungere nel Kosovo».

Dunque manca la volontà politica?
«Negli ultimi vent’anni sono stati raggiunti risultati importanti. Anche sul piano della convivenza pacifica. Ma a partire dal 2021, solo passi indietro, come i gamberi. A causa dell’estrema polarizzazione di alcuni fatti, strumentalizzati da tutte le parti in causa nel nome di politiche estremiste, che hanno minato la stabilità tra le due etnie».

Quanto è alto il rischio di un ulteriore deterioramento della situazione?
«Il nostro intervento ha creato un effetto di breve termine. Attraverso l’azione diplomatica, Serbia e Kosovo stanno ricominciando a parlarsi. Auspichiamo che questa finestra temporale venga sfruttata per far cominciare dei veri negoziati. Come non è stato fatto finora».

3 giugno 2023 (modifica il 3 giugno 2023 | 21:48)