ROMA - Scende al portone, ora che è rimasto solo nella casa sotto la ferrovia che porta alla Stazione Ostiense. Fino al 20 novembre scorso, al terzo piano d'angolo, vivevano in quattro. Ma quella notte Andrea, 15 anni, si è tolto la vita in camera da letto. Con una sciarpa. E dopo quella notte la moglie Teresa è andata via. La coppia, già affaticata, non ha retto. Il piccolo Daniele vive con la madre, ora è in vacanza negli stessi luoghi amati dal fratello. Il padre Tiziano, Tiziano Spezzacatena, 48 anni, parquettista che in questa fase di ristagno deve lavorare anche d'agosto, s'avvicina all'ombra dell'edicola e inizia a parlare.
Non servono domande. "Ha sentito il telegiornale? Ne è morto un altro, quattordici anni, ancora a Roma. Era gay, ha lasciato un biglietto... È un'ecatombe... Ma che città è questa che ti mette all'angolo perché sei gay? Dentro che vite vuote galleggiano i nostri figli? Ai miei tempi Roma era violenta perché andavamo contro il sistema, adesso è violenta per nulla. Non sopporta chi è diverso, chi non si omologa".
Vuole dirlo, vero? Suo figlio non era gay.
"Voglio dirlo per amore di verità, per amore nei confronti di Andrea. Morire perché ti bullizzano è un'infamia, morire perché ti scrivono sui muri di scuola che sei frocio e tu non lo sei è un'ingiustizia senza paragoni. Vivi subendo una prepotenza da cui non riesci a difenderti".
Avete capito qualcosa in più in questi nove mesi?
"Abbiamo avuto conferma del suo dolce innamoramento per una ragazzina del liceo e abbiamo capito che la sua scuola, il Cavour, a un passo dal Colosseo, è un luogo dove alcuni giovani propagano prepotenza, coltivano l'omofobia. Non lo sapevamo, gli insegnanti non ce l'avevano mai detto. Non l'avremmo mai iscritto a una scuola così".
Nove mesi di indagini che cosa hanno detto?
"La procura procede in assoluto silenzio, so che hanno interrogato alcuni compagni di Andrea. Se avessi certezze, se sapessi chi gli ha scritto quelle cose orribili sui muri, addirittura sul suo banco, avrei già commesso... Lasciamo perdere".
Che idea si è fatto?
"Credo che mio figlio abbia subito più di quello che sappiamo, credo che la scuola abbia fatto in
tempo a cancellare molte tracce. Deve aver sofferto per un anno intero e le dico (gli occhi si bagnano),
ad Andrea non perdono di non avermi parlato, non essersi aperto. Siamo sempre stata una famiglia attenta, lo avremmo aiutato... Quella sofferenza, forse, era troppo grande per parlarne".
Ha avuto contatti, dopo la morte, con la preside, gli insegnanti?
"Siamo fermi alla camera ardente. Si giustificavano e non capivo perché. "Andrea era forte, Andrea sapeva difendersi, era superiore". Mettevano le mani avanti, poi neppure una telefonata. Una scuola oggi è un'azienda: deve lavare tutto in casa, deve salvare il nome. Al liceo Cavour si sono chiusi a riccio e in questo modo lasciano crescere culture sbagliate ".
I compagni di Andrea?
"Con noi non hanno rapporti, ma questo è normale. Quando vado al cimitero, però, trovo frasi molto belle, anonime, scritte su fogli a righe. Coetanei che gli hanno voluto bene, immagino. Molte lacrime versate in chiesa, nel giorno dei funerali, erano sincere".
È come se la storia di Andrea non riuscisse a insegnare nulla.
"La scuola non ha fatto molto per diffonderla. Capisco che è difficile, oggi. Sono gli anni di Facebook, la grande solitudine di Facebook. Ricorderà quella pagina cattiva, "Il ragazzo dai pantaloni rosa", che qualcuno aveva costruito contro mio figlio? Lo stavano distruggendo, e non poteva farci niente. Peccato che quel sito l'abbiano chiuso subito, su richiesta dell'Arcigay: poteva servire alle indagini".
E una famiglia cosa può fare per non lasciare che un dolore resti inutile?
"Mia moglie ha provato a raccontare questa storia di male gratuito in un libro, lo ha scritto di getto. A ottobre sarà pronto, poi inizierà a girare per le scuole italiane. Vuole ricordare un figlio così estroso, sensibile, colto e vorrebbe guardare negli occhi i tanti Andrea che subiscono in silenzio, senza un motivo".
Non servono domande. "Ha sentito il telegiornale? Ne è morto un altro, quattordici anni, ancora a Roma. Era gay, ha lasciato un biglietto... È un'ecatombe... Ma che città è questa che ti mette all'angolo perché sei gay? Dentro che vite vuote galleggiano i nostri figli? Ai miei tempi Roma era violenta perché andavamo contro il sistema, adesso è violenta per nulla. Non sopporta chi è diverso, chi non si omologa".
Vuole dirlo, vero? Suo figlio non era gay.
"Voglio dirlo per amore di verità, per amore nei confronti di Andrea. Morire perché ti bullizzano è un'infamia, morire perché ti scrivono sui muri di scuola che sei frocio e tu non lo sei è un'ingiustizia senza paragoni. Vivi subendo una prepotenza da cui non riesci a difenderti".
Avete capito qualcosa in più in questi nove mesi?
"Abbiamo avuto conferma del suo dolce innamoramento per una ragazzina del liceo e abbiamo capito che la sua scuola, il Cavour, a un passo dal Colosseo, è un luogo dove alcuni giovani propagano prepotenza, coltivano l'omofobia. Non lo sapevamo, gli insegnanti non ce l'avevano mai detto. Non l'avremmo mai iscritto a una scuola così".
Nove mesi di indagini che cosa hanno detto?
"La procura procede in assoluto silenzio, so che hanno interrogato alcuni compagni di Andrea. Se avessi certezze, se sapessi chi gli ha scritto quelle cose orribili sui muri, addirittura sul suo banco, avrei già commesso... Lasciamo perdere".
Che idea si è fatto?
"Credo che mio figlio abbia subito più di quello che sappiamo, credo che la scuola abbia fatto in
tempo a cancellare molte tracce. Deve aver sofferto per un anno intero e le dico (gli occhi si bagnano),
ad Andrea non perdono di non avermi parlato, non essersi aperto. Siamo sempre stata una famiglia attenta, lo avremmo aiutato... Quella sofferenza, forse, era troppo grande per parlarne".
Ha avuto contatti, dopo la morte, con la preside, gli insegnanti?
"Siamo fermi alla camera ardente. Si giustificavano e non capivo perché. "Andrea era forte, Andrea sapeva difendersi, era superiore". Mettevano le mani avanti, poi neppure una telefonata. Una scuola oggi è un'azienda: deve lavare tutto in casa, deve salvare il nome. Al liceo Cavour si sono chiusi a riccio e in questo modo lasciano crescere culture sbagliate ".
I compagni di Andrea?
"Con noi non hanno rapporti, ma questo è normale. Quando vado al cimitero, però, trovo frasi molto belle, anonime, scritte su fogli a righe. Coetanei che gli hanno voluto bene, immagino. Molte lacrime versate in chiesa, nel giorno dei funerali, erano sincere".
È come se la storia di Andrea non riuscisse a insegnare nulla.
"La scuola non ha fatto molto per diffonderla. Capisco che è difficile, oggi. Sono gli anni di Facebook, la grande solitudine di Facebook. Ricorderà quella pagina cattiva, "Il ragazzo dai pantaloni rosa", che qualcuno aveva costruito contro mio figlio? Lo stavano distruggendo, e non poteva farci niente. Peccato che quel sito l'abbiano chiuso subito, su richiesta dell'Arcigay: poteva servire alle indagini".
E una famiglia cosa può fare per non lasciare che un dolore resti inutile?
"Mia moglie ha provato a raccontare questa storia di male gratuito in un libro, lo ha scritto di getto. A ottobre sarà pronto, poi inizierà a girare per le scuole italiane. Vuole ricordare un figlio così estroso, sensibile, colto e vorrebbe guardare negli occhi i tanti Andrea che subiscono in silenzio, senza un motivo".