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Strategie per rendere la revisione fra pari meno superficiale

“Immaginate che gli studenti abbiano scritto qualcosa, siamo alla lezione successiva e l’insegnante ha deciso di non correggere gli scritti. Adesso vuole che gli studenti li revisionino. Alcuni insegnanti hanno provato una volta e poi non l’hanno più fatto perché è stato un fiasco. Gli studenti hanno finito in pochi minuti dimostrando superficialità nel lavoro di revisione.

Quali strategie potreste consigliare a questi insegnanti per evitare che gli studenti lavorino in modo superficiale? Discutete e stendete un elenco.”

Questa la consegna affidata ai 5 gruppi ciascuno da 5 insegnanti partecipanti ad uno dei laboratori del Seminario. 45 minuti più tardi, quando abbiamo chiesto ad ogni gruppo di riferire in plenum il loro elenco, è stato riferito in più casi che gran parte della discussione nel gruppo era dedicato all’opportunità o meno della decisione da parte dell’insegnante di non correggere gli scritti. Non avevano fatto caso che nella consegna questo non era in discussione. Questo fatto costituisce una prova della tesi del seminario internazionale precedente: cioè che la lettura è soggettiva e che ciò che uno capisce dipende dalla propria visione della realtà.

Se per te non è pensabile che un insegnante non corregga gli scritti degli studenti, stenti a cogliere l’informazione che un insegnante responsabile non li ha corretti. Rimando all’articolo “Scrivere e la programmazione dei corsi di lingua” in questo volume per approfondimenti in merito alla giustificazione per un tale comportamento da parte dell’insegnante.

Comunque sia, questo laboratorio si occupava di un’altra cosa: come rendere il lavoro degli studenti più accurato. Dando un ordine ai suggerimenti presentati dai vari gruppi nel laboratorio e integrando idee mie, possiamo individuare due ordini di strategie. Il primo riguarda come vediamo lo studente. Come dovrebbe essere visto? Dovrebbe essere visto come un autore, naturalmente. Perché lo è. Ha scritto; ha creato un testo che prima di lui non esisteva. Purtroppo quel “naturalmente” non è così naturale. Troppi di noi considerano lo studente come un produttore di sbagli, un essere “difettoso” che va corretto. Noi non leggiamo i suoi scritti: li scrutiamo per trovare le prove delle sue insufficienze, gli errori. è talmente comune questo atteggiamento da parte degli insegnanti che lo studente stesso, pur avendo creato un testo originale, non si vede come autore. Si vede come un essere difettoso che va corretto. Se invece l’insegnante smette di essere complice in questa assurda erosione dell’amor proprio dello studente e comincia a considerare lo studente come l’autore che è, la revisione fra pari ha tutto un altro sapore e tutta un’altra efficacia.

Gli autori professionisti

Una volta che l’insegnante avrà cambiato mentalità, che cosa bisogna fare? Bisogna informare lo studente delle “regole del gioco”. Questo non in assoluto, ma in questa fase storica; semplicemente perché è poco probabile che lo studente si aspetti che il suo insegnante lo tratti da autore: gli altri suoi insegnanti prima probabilmente non l’hanno mai fatto. Un modo per fare questo è iniziare la lezione col raccontare alla classe come fanno gli autori professionisti. E cioè che alla consegna del dattiloscritto all’editore, quest’ultimo non lo pubblica così com’è; lo invia ad un “lettore”, una persona di fiducia, il quale legge il dattiloscritto, segnala le cose che secondo lui andrebbero cambiato per migliorare il testo e rispedisce il tutto all’editore; l’editore poi spedisce il dattiloscritto e i commenti del lettore all’autore e gli chiede “Che ne pensi?”; l’autore prende in considerazione i commenti del lettore e, quando pensa che il lettore abbia ragione, cambia certe cose; altre cose, dove pensa che il lettore abbia torto, non cambia; e in altri casi effettua una modifica parziale. Il risultato è un testo migliorato a parere di chi l’ha scritto. La prassi di coinvolgere un lettore, quindi, serve a creare un testo migliore. Questa prassi si chiama “editing”. Finito il racconto si spiega agli studenti che, siccome loro sono autori (la prima volta ci può essere qualche segno di stupore da parte loro: serve dire esplicitamente “ma sì; questo scritto qui è originale, prima di te non è mai esistito, senza di te non esisterebbe, l’hai creato tu, è tuo, sei l’autore”), faranno anche loro l’editing. Solo che qui c’è il vantaggio di avere il lettore presente e quindi si può discutere con lui.

In coppie

A questo punto gli studenti vengono messi in coppie. Qui rientra un esempio dell’altro tipo di strategia. Le due sedie (chi insegna con i banchi ignori questa frase) vanno messe parallele ed attaccate l’una all’altra, anche al costo di ottenere qualche critica di esagerata pignoleria quando l’insegnante fa alzare uno studente per ottenere la collocazione giusta. Questo è un prezzo basso da pagare considerando che, in compenso, mezz’ora più tardi il lavoro procede con pieno coinvolgimento senza che qualcuno voglia smettere per problemi di torcicollo!

Poi, siccome anche gli studenti possono comportarsi da cattivi insegnanti quando hanno il potere, (è normale: seguono i modelli che hanno conosciuto!) bisogna vietare qualsiasi commento sulle forme finché non si sarà letto bene lo scritto del compagno e non ci si sarà sforzati di capire il suo pensiero.

Quando hanno finito questa fase, è importante che l’insegnante faccia restituire gli scritti ai rispettivi autori. Anche questo piccolo gesto serve a rafforzare il concetto dello studente come autore: può scoraggiare un atteggiamento del tipo “adesso lui, che l’ha in mano, correggerà il mio scritto” e favorire un atteggiamento di tipo “lui mi darà una mano a migliorare il mio scritto, che ho in mano io”.

A questo punto l’insegnante può lanciare una moneta per decidere su quale dei due scritti si farà l’editing, quello a sinistra o quello a destra. Per focalizzare l’attenzione unicamente sullo scritto in questione, l’insegnante farà bene a far togliere completamente di vista l’altro scritto e farà mettere lo scritto sotto esame esattamente in mezzo ai due studenti. Esagero? No, è proprio la mancanza di cura di questi piccoli dettagli che può far fallire la lezione, nel senso che il compito viene svolto con superficialità. Poi, bisogna insistere che solo l’autore ha la penna a disposizione. Questo per evitare che il lettore, in quelle coppie in cui il “lettore” è più sicuro di sé rispetto all’autore, si metta a “correggere”.

Il compito

Anche il modo in cui viene assegnato il compito è importante. Non si tratta di invitare alla “correzione”, bensì al “miglioramento” del testo. Il termine “correzione” evoca un concetto di “giusto o sbagliato” e il campo di azione tende a limitarsi alla morfosintassi e alla ortografia. “Miglioramento”, invece, consente un approccio più esplorativo, di possibili alternative, discussioni suscitate da enunciati tipo “forse sarebbe meglio scrivere …”, e il campo di azione può allargarsi a tutti i livelli, comprendendo questioni stilistiche, convenzioni retoriche, tecniche di coesione testuale, l’ordinazione dei concetti ed altro ancora.

L’insegnante a disposizione

Prima di avviare il lavoro, l’insegnante farebbe bene a chiarire che quando hanno dei dubbi devono chiamarlo e rispondere alle domande. La chiarezza di questo discorso è importante per tutti ma in particolare per quegli autori che si trovano con un compagno che tende a prevaricare: quando non sono convinti possono difendersi chiamando l’insegnante.

Avviato il lavoro, l’insegnante dovrebbe sedersi, tranquillo, in disparte. L’effetto è far capire agli studenti che lui si fida della loro capacità di svolgere un lavoro serio. Quegli insegnanti, invece, che girano fra gli studenti mandano il messaggio contrario e gli studenti tenderanno a comportarsi di conseguenza!

Un altro trucco, nel caso che la classe sia particolarmente predisposta alla superficialità è scrivere alla lavagna dopo qualche minuto “Se avete dubbi chiamatemi.” E poi dopo qualche minuto ancora, se nessuno avrà chiamato l’insegnante, scrivere alla lavagna “Se non avete dubbi, siete: a) italiani, b) presuntuosi, c) stupidi.” è uno scherzo, ma contiene una verità e gli studenti, mentre ridono, se ne accorgono. Dopo la prima chiamata la lezione funziona molto meglio perché si rendono conto tutti che hanno in mano un potere di non poco conto.

Un altro fattore importante è il modo in cui l’insegnante risponde quando viene chiamato. Prima di tutto va visto come un fatto privato della coppia che ha chiamato l’insegnante. Poi, se l’insegnante approfitta della domanda per esporre tutte le sue conoscenze riguardanti il fenomeno menzionato si sentirà senz’altro molto gratificato, ma nel frattempo avrà contribuito ad abbassare la serietà del lavoro. Se, invece, trova quell’autodisciplina, rara nella specie insegnante, di rispondere esattamente alla domanda, non più e non meno, contribuirà al livello di cura con cui quella coppia lavorerà in seguito. Questo perché? Perché se a me basta dire all’insegnante “Va bene questa frase?” per ottenere una frase corretta, non c’è nessuna motivazione a fare domande più precise, nessuna necessità di chiarire a me stesso che cosa voglio sapere esattamente.

Nel caso estremo in cui tutte queste strategie non bastano ad ottenere 20 minuti di lavoro (la superficialità si traduce nella pratica nella dichiarazione di aver finito il lavoro anticipatamente), l’insegnante può andare alla coppia che dichiara di aver finito il lavoro, prendere in mano lo scritto, fingere di leggerlo e poi, restituendolo, dire “Ma, i verbi?”. E andare via. La reazione tipica è “Perché? Non vanno bene?” La risposta adeguata è “Voi che dite?” e l’insegnante si siede tranquillo al suo posto. Normalmente la ricerca al miglioramento riparte.

Scaduti i 20 minuti l’insegnante può interrompere il lavoro di tutti e avviare il lavoro sull’altro scritto con la stessa modalità (autore con la penna, via l’altro scritto, il nuovo scritto in mezzo, ecc.).

Compito a casa: scrivere la bella copia, con tanto di nome e data, da consegnare la lezione successiva.