| Naturalmente, Sugar Mandylion ci mise davvero poco a portare con sé anche il solito subbuglio che si trascinava dietro al suo passaggio. La bottega più prestigiosa di Diagon Alley non faceva eccezione e venne pervasa da un trambusto fisico, a cui lui si aggrappava per spiegare quello che sentiva nel petto, nella mente e in ogni centimetro del suo corpo ogni volta che strega era nei paraggi. Lui aveva fatto del caos e del fuoco la sua dimora, ma quello che accadeva con Sugar era diverso: non si trattava di trambusto casuale, bensì Caledon aveva l’impressione che Mandylion, con il suo atteggiamento deciso, sprezzante ed eclatante, riuscisse a piegare ogni ambiente a suo piacimento. Nelle deflagrazioni che puntualmente Sugar causava, c’era un ordine di referenza di ogni cosa che si rifaceva a lei. Persino il regno di Caledon in quel momento sembrava essersi piegato a Sugar Mandylion. Non era un caos che partiva da lui, perché anche lui per primo, pur senza rendersene davvero conto, si ritrovava a adattarsi a quello che Sugar creava, all’apparente disordine di cui tuttavia lei restava il nord assoluto. Non sembrava esserci altro modo per avvicinarsi alla strega se non immergendosi in quello spazio di cui Mandylion tracciava le inospitali coordinate. Ma Caledon Fedoryen non aveva paura di stare scomodo e di forzare quei confini fino a farli propri, ancora e ancora. Lo aveva fatto alla Torre dell’Orologio e lo avrebbe fatto a maggior ragione lì, perché quello era il suo territorio e lo mandava in bestia come Sugar Mandylion stesse facendo suo anche quel posto.
– Che cazzo!
Ruggì mentre le bacchette alle sue spalle cadevano, colpite dalla magia di Sugar, e le dita della sua mano si serravano in un pugno rabbioso appena più giù del punto in cui la presa della donna bruciava il suo polso, sempre una sua magia, ma di tipo diverso. Un tipo che lui, con la rabbia che si faceva spazio dentro di lui, in quel momento non tollerava. Scosse quindi il braccio con violenza per farle mollare la presa e subito dopo rispose alla sua provocazione, puntandole contro la bacchetta. Non era mai stata una persona riflessiva, non pensava di star facendo esattamente quello che lei volesse e che, in fondo, gli aveva chiesto. Non si accorse nemmeno di essere diventato parte di quell’ambiente che appunto si piegava a lei. Non riusciva a pensare a nulla quando davanti aveva Sugar Mandylion, perché ogni parte del suo corpo era occupata a sentire la rabbia, la frustrazione, l’umiliazione, il desiderio. Tutto, troppo. Il volto era contorto in quello sforzo in cui detestava sentire di non avere totalmente il controllo e mise a fuoco la figura di lei. Non desiderava distruggerla, quello sarebbe stato un torto a sé stesso e al pianeta, perché tutto sarebbe stato più noioso senza la forza gravitazionale di Sugar Mandylion. Invece, desiderava torturarla, farle male, piegarla, sentirla implorare, sfinirla, farla propria. Lo immaginò con la bacchetta ancora sfoderata contro di lei e i suoi occhi chiari si fecero oscuri per il dilatarsi eccitato delle pupille. Bramava vedere la paura negli occhi di lei, o almeno lo sgomento che corrompeva l’acquamarina alla minaccia di lui, con la bacchetta sfoderata. Doveva saperlo anche lei che lui non fosse più un ragazzino. Si trovò a dover deglutire per l’aumento di salivazione, pensando che avrebbe potuto fare meno del cibo, ma non di quello. Allora saltò sul bancone, lo superò e poi superò anche lei, dirigendosi invece con passo rapido e nervoso verso l’ingresso della bottega. Ovviamente non si stava sottraendo alla provocazione di lei, al contrario: voleva riprendere il controllo del suo territorio ed eliminare ogni possibilità di fuga a entrambi. Girò il cartello, che a loro avrebbe mostrato ora la parola “APERTO”, ma che all’esterno avrebbe comunicato esattamente l’opposto. Poi girò la chiave nella serratura, chiudendo meccanicamente la porta. Quindi tornò a voltarsi verso di lei.
– Sei odiosa. – ringhiò a denti stretti. – Pensi di essere in vantaggio…
Prese ad avanzare verso di lei, fino a quando non le fu a un centimetro dal viso. La superava in altezza e nella massa. Non sarebbe stato difficile spingerla ancora verso il bancone alle spalle di lei, e così fece, andando a soffocarla con il proprio corpo con una pressione tale da costringerla a inclinare la schiena sul bancone.
– Ma sei tu l’Auror che deve rispettare la legge. Non io.
Lo sancì a un centimetro dal volto di lei con lo sguardo dall’alto e il mento che le sfiorava il naso, mentre la smorfia di un sorriso si palesava sul suo volto e la bacchetta, che lui non aveva mai riposto, ora le veniva puntata alla gola. Sapeva che Sugar, in quanto Auror, fosse più abile di lui nei duelli. Ma Mandylion forse aveva mancato di considerare che lei, con la sua pubblica persona, il cognome pesante e l’impiego da pubblica ufficiale, era costretta a qualcosa che a lui mancava: dei limiti.
– Questo è il mio conto in sospeso.
Proferì tra i denti, poi spinse la bacchetta verso l’alto, affinché la punta del catalizzatore facesse pressione sul collo di lei, come a volerle penetrare la pelle. E infine gravò su di lei dall’alto e premette con forza le labbra sulle sue. Contro le sue.
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